Si possono combattere efficacemente i danni da infezioni da Citomegalovirus (CMV) al feto durante la gravidanza, spesso all’origine di malformazioni, disturbi e handicap permanenti? E, quindi, si può dare una speranza concreta a quelle madri incerte se continuare o meno la gravidanza una volta scoperta l’infezione da CMV? Rispondere a queste domande è l’obiettivo della sperimentazione clinica “Ricerca per crescere”, ideata e realizzata dall’Azienda USL di Pescara con la Fondazione Onlus Camillo De Lellis per l’Innovazione e la Ricerca in Medicina di Pescara, e sostenuta dalla Direzione Sanità della Regione Abruzzo.
L’iniziativa prende le mosse dall’ampia diffusione del problema: in Italia circa l’1% dei nati presenta infezione congenita da CMV. Nonostante questo, lo screening del CMV non è previsto dalle indagini obbligatorie in gravidanza, mentre sono numerose le donne che, scoperto il problema, decidono di abortire. Nel 12 per cento dei casi di infezione, possono verificarsi gravi patologie al feto (microcefalia, displasia o atrofia cerebrale, atrofia cerebellare, disturbi della vista e dell’udito fino al mutismo, infiammazione interne ed emorragie, epatite, polmonite, prematurità fino alla morte intrauterina).
All’origine del progetto c’è anche l’incontro tra i promotori e il professor Giovanni Nigro, direttore della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi dell’Aquila, che alcuni anni fa ha sperimentato per la prima volta l’efficacia delle immunoglobuline nella lotta contro i danni fetali da CMV, documentando una marcata riduzione delle conseguenze sul feto. Tali risultati sono stati pubblicati nel 2005 sul prestigioso New England Journal of Medicine.
La sperimentazione abruzzese, dunque, mira a riaccendere i riflettori sul problema e vuole offrire la possibilità a tutte le donne con una gravidanza a rischio da CMV di verificare gratuitamente l’effettiva sussistenza dell’infezione e, in caso positivo, di testare l’efficacia delle immunoglobuline, allontanando l’ipotesi dell’aborto. L’iniziativa può essere considerata unica nel suo genere in Italia, visto che ad oggi un protocollo simile esiste al Nord ma si rivolge ad un piccolo numero di gestanti, mentre tramite Internet sta diffondendosi senza controlli e in modo molto costoso la pratica della infusione di immunoglobuline presso cliniche private non convenzionate.
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